MPS, il bancomat del PD

di Giacomo Giannarelli, Consigliere regionale M5S e Presidente Commissione d’inchiesta Scandalo Monte dei Paschi di Siena

Il Monte dei Paschi di Siena è stato usato come un bancomat dai partiti, ex DS poi PD in testa. Oggi quel partito continua a scegliere di sacrificare i piccoli risparmiatori, pur di evitare la nazionalizzazione e fare chiarezza sui 47 miliardi di crediti deteriorati, cioè quei soldi dati soprattutto (80%) a grandi gruppi amici di partito o società partecipate e malgestite da Comuni e Regioni o chissà chi altro … perché anche su questo la banca ha omesso l’opportuna trasparenza.

La settimana scorsa l’assemblea dei soci di Monte dei Paschi di Siena ha votato a maggioranza il piano del CDA: la banca dovrà trovare sul mercato 5 miliardi di euro di ricapitalizzazione per evitare la risoluzione (cioè il fallimento della banca) che si traduce nel tristemente noto “Bail in“. Ma per qualcuno il bail in è già iniziato con questa soluzione e ho bisogno di raccontarvi bene una cosa per farvi capire cosa sta succedendo.

Nel 2008 Monte dei Paschi di Siena aveva bisogno di soldi liquidi per coprire il buco generato dalla scellerata acquisizione Antonveneta. Un’operazione voluta dalla politica e approvata dalla Banca d’Italia allora a guida Mario Draghi (oggi Presidente BCE).

Per trovare i soldi bussarono a varie porte: alcune aprirono e si dissanguarono, come la Fondazione MPS (patrimonio pubblico), altre ci lucrarono come JP Morgan, ma ancora non bastava. Allora il CDA della banca pensò bene di piazzare un’obbligazione da oltre 2,1 miliardi (IT0004352586) con tagli da 1.000 euro per attrarre i piccoli risparmiatori. Ci riuscì e circa 40mila persone comuni si fidarono delle potenzialità di sviluppo di quella banca storica – la più antica al mondo – guidata da un giovane avvocato iscritto e protetto dal Partito Democratico, già presidente della Fondazione MPS in mano alle istituzioni locali e controllata dal Ministero del Tesoro. Se tutta la stampa, tutti i partiti allora al governo o all’opposizione, dicono “brava MPS, ottimo acquisto Antonveneta” e le uniche voci fuori dal coro sono gli “Amici di Beppe Grillo” e pochi altri, nel 2008 chi non si sarebbe fidato?

Quell’obbligazione subordinata scadrebbe nel 2018 e gli investitori avrebbero dovuto incassare il dovuto. Invece oggi sono sotto ricatto. A loro, come al resto delle centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori che hanno una o più delle 7 obbligazioni subordinate MPS, la banca ha detto (in pratica): avete cinque giorni per accettare la conversione volontaria di queste obbligazioni in azioni e ci aiutate nell’aumento di capitale oppure arriva il bail in e questo valore sarà azzerato. Per attirarli nell’operazione hanno promesso persino di dargli un valore in azioni più alto rispetto a quello che hanno in mano con l’obbligazione. E’ chiaro che usare la minaccia del bail in – assecondato anche in UE dal Partito Democratico – per permettere alla Banca di evitare operazioni di recupero dei soldi prestati male – spesso agli amici di partito – è un cortocircuito della democrazia sulla pelle dei cittadini.

L’Assemblea dei soci MPS doveva chiarire questa gestione poco prudente e accorta, ma non l’ha fatto. Il CDA voluto dal PD ha preferito scegliere la soluzione JP Morgan nonostante gli costi di commissioni 448 milioni, poco più del valore attuale in borsa dell’intero istituto. Nel frattempo altri 600 lavoratori lasceranno la banca e la Fondazione MPS – un tempo proprietaria al 100% dell’Istituto – deciderà “dopo il referendum del 4 dicembre” se partecipare all’aumento di capitale. Una mossa che chiarisce per l’ennesima volta quanto il Monte dei Paschi e la sua storia siano legate a doppio filo a quei partiti che ancora oggi hanno voce in capitolo sulle sorti della Fondazione omonima.