La globalizzazione e la bugia sulla riforma di Renzi – #IoDicoNo

di Aldo Giannuli

“La riforma è necessaria perché le impone la globalizzazione”: FALSO.
Quando iniziò la globalizzazione neoliberista nei primissimi anni 90, si diffuse questa idea che la globalizzazione imponga decisioni rapide, efficaci, che debbano essere assunte in tempi brevi, quindi saltando la discussione.

E infatti uno degli aspetti centrali del sistema di decisioni internazionali fu la presenza di conferenze, come il G7, G8, G20 che avrebbero dovuto assicurare la collaborazione di singoli Stati a livello di governi. I vari G8, G20 ecc sono incontri di capi di governo, che quindi si immagina possano decidere senza troppi impicci parlamentari, e questo avrebbe consentito al mondo globale di funzionare in modo efficace.

Questa era la convinzione diffusa, sulla base della quale appunto iniziarono a germinare progetti di riforma costituzionale di questo genere, sulla base della quale si sono fatte le nuove costituzioni, per esempio nell’Est Europa, in alcuni paesi asiatici e africani, di tipo presidenziale. Non a caso, non ci sono state nuove costituzioni di tipo parlamentare.

Ma era una convinzione giusta? E’ ancora attuale? In realtà la crisi ha dimostrato come questo modo di governare il mondo con Conferenze intergovernative non ha affatto risolto il processo iniziato nel 2007, e che è andato via via aggravandosi. Un modo di decidere del genere finisce per comprimere la democrazia ma non è affatto più efficace, anzi abbiamo assistito al crescere di decisioni controproducenti. Il metodo delle Conferenze intergovernative non ha fatto altro che rafforzare l’idea di difendere l’architettura di potere esistente, di difendere le élite attualmente al potere, senza mai aprire una riflessione su quanto questa architettura di potere e queste elite abbiano contribuito all’apertura della crisi.

L’idea di confermare questo metodo è la premessa che indebolisce i singoli Paesi, e infatti abbiamo assistito tanto in Europa quanto negli Stati Uniti al montare di una protesta popolare spesso definita populista, ma comunque una protesta di partiti e di movimenti fuori del sistema e che comunque attaccano le elite al potere, che non ha precedenti.

Quello che si richiede di fronte ad una crisi del genere è da un lato una di discussione di tutto, delle decisioni fin qui prese, ma soprattutto dei meccanismi decisionali e delle architetture di potere. Dall’altro lato questo richiede semmai meccanismi di tipo consociativo includente e non escludente. Un’architettura di potere tutta centrata sul governo, che esclude le opposizioni e sempre più marginalizza i parlamenti, può essere un rimedio solo apparente e nel primissimo tempo, ma sul lungo periodo non potrà che dimostrare grande debolezza.