Osteria senza oste, ma non per il fisco

“Ecco che succede nel nostro Paese – si entra e si beve, servendosi da soli perché manca l’oste, non c’è un preziario e sta agli ospiti, se lo ritengono, versare un obolo per quello che consumano. L’osteria senza oste è un must per il trevigiano, nata dall’idea di un imprenditore della zona che ha comperato un piccolo rustico, aprendola ad amici per una fetta di salame e un buon bicchiere di ‘bollicine’ Docg. “Lasciavo qualche bottiglia di vino per gli amici – dice l’imprenditore che ogni tanto si reca in incognito nella casa -, che si lamentavano quando non mi trovavano”. Poi col passaparola sono arrivati gli amici degli amici e molta altra gente, anche da fuori provincia. ”Mi capita spesso di trovare della gente che, non riconoscendomi, si ferma a spiegarmi il meccanismo della consumazione con offerta libera. Non è immaginabile a livello imprenditoriale”. Accanto alla stanza c’è una stalla dove dimorano una mucca (con il vitellino appena nato) e un asino. Non c’è un’insegna nè un parcheggio, ma solo filari di cartizze. La porta è sempre aperta e chi vi entra trova sempre prosecco e salumi. Quello che manca è l’oste, perché la ‘taverna degli onesti’ è aperta a tutti, e il conto ognuno lo fa da sé. Prima di uscire si lascia qualche euro nella cassetta, che qualche volta è stata svuotata dei pochi spiccioli. La particolarità è proprio questa: l’offerta per ciò che si è gustato è lasciata all’onestà degli avventori che possono depositare in una cassetta sul tavolo della cucina il denaro. Ma per il fisco, ha spiegato lo stesso imprenditore, questa è un’ attività “in nero” che è stata scoperta, facendo emergere un’evasione stimata in 62 mila euro”.
Dino S.