Il colossale inganno del Fiscal Compact

Beppe Grillo e il M5S contro il Fiscal Compact
(10:00)

di Paolo Becchi e Federico Actite

“Nei giorni scorsi si è molto parlato del Fiscal compact, la cui abolizione costituisce uno dei punti del programma del M5S per le prossime elezioni europee. Forse è il caso di chiarire alcune cose al riguardo. Il Fiscal compact non fa parte del diritto comunitario e dei trattati dell’Unione Europea, ma è un semplice trattato internazionale firmato a Bruxelles da 25 dei 28 capi di governo degli Stati membri dell’UE lo scorso 2 marzo 2012.
Questo trattato intergovernativo dal punto di vista economico prevede disposizioni che avranno conseguenze notevoli per l’Italia che non solo non l’aiuteranno a uscire dalla crisi economica in cui versa ormai da anni, ma che l’impoveriranno ulteriormente. Il Fiscal compact rappresenta una conferma e un ulteriore consolidamento delle misure di austerity sin qui adottate per risolvere la crisi dell’Euro. L’articolo 1 del Fiscal compact recita infatti: “Con il presente trattato le parti contraenti, in qualità di Stati membri dell’Unione europea, convengono di rafforzare il pilastro economico dell’unione economica e monetaria adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto di bilancio…“. Queste regole includono l’obbligo del pareggio di bilancio: “Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione europea: a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo” (art. 3.1) e impongono altresì di accantonare ogni anno una somma necessaria per ridurre di un ventesimo la quota di debito superiore al 60% del PIL e rientrare così nei parametri stabiliti (art. 4).
Tale somma è onerosa soprattutto per quei paesi che come l’Italia presentano una quota di debito molto superiore a quella percentuale. Per il nostro paese parliamo infatti di un debito di oltre duemila miliardi di Euro, equivalente a circa il 133% del PIL. Rientrare al di sotto del 60% nell’arco di vent’anni comporterebbe per l’Italia un ulteriore aggravio di circa 50 miliardi di Euro all’anno, i quali potrebbero aumentare se, come avvenuto in questi anni, le ottimistiche previsioni di crescita del PIL non dovessero avverarsi.
Si tratta di una cifra enorme, se tanto per fare un paragone pensiamo che la contestata IMU sulla prima casa porta alle casse dello stato “appena” 4 miliardi di Euro. Come potrebbe lo Stato ottenere allora ogni anno questi 50 miliardi di Euro? Ovviamente attraverso l’introduzione di nuove tasse, operando nuovi pesanti tagli allo stato sociale e soprattutto svendendo quanto rimane di pubblico dopo decenni di privatizzazioni. Ma questi sacrifici per raggiungere il tanto agognato obiettivo del 60% non dovrebbero durare un anno o due, bensì almeno un ventennio. Insomma, il nostro futuro è la Grecia. Un altro aspetto del Fiscal compact merita di essere sottolineato. L’articolo 16 recita: “Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazione dell’esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.
Queste parole confermano quanto abbiamo già detto all’inizio della nostra analisi, ovvero che il trattato approvato è stato redatto al di fuori dell’ordinamento giuridico comunitario, ma aggiungono anche un altro particolare di cui in questi mesi si è poco parlato: entro cinque anni dalla sua entrata in vigore tale accordo verrà incorporato nell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea. Se questo è lo scopo, perché dunque gli Stati firmatari del Fiscal compact non hanno scelto di seguire sin dall’inizio la procedura prevista dai trattati europei per la loro revisione inserendo subito queste norme all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea? Confrontando questi due diversi modi di procedere scopriamo altri elementi interessanti. A partire dal 2009 con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona l’elaborazione e la ratifica dei trattati europei secondo l’articolo 48 del trattato sull’Unione Europea (TUE) prevede la consultazione e il coinvolgimento di un ampio numero di attori, inclusi non solo i 28 capi di Stato, ma anche la Commissione Europea, i Parlamenti nazionali e il Parlamento Europeo.
Inoltre è prevista anche la ratifica e la discussione del nuovo trattato da parte di tutti i Parlamenti dei 28 paesi dell’UE, nonché il ricorso al referendum laddove consentito dalla Costituzione. Il risultato negativo di tali referendum può obbligare alla rinegoziazione del testo originariamente firmato dai capi di Stato, com’è già avvenuto ad esempio nel 1992 in Danimarca per il trattato di Maastricht o ancora nel 2008 in Irlanda per il trattato di Lisbona.
Con il Fiscal compact al contrario si è scelto non solo di optare per un trattato internazionale, ma si è imposto l’obbligo di incorporare entro cinque anni il suo contenuto nel diritto comunitario, stravolgendo in questo modo la procedura prevista dall’UE per la modifica dei trattati.
È evidente che si è voluto aggirare l’ostacolo del Parlamento Europeo costringendo in pratica i Parlamenti nazionali ad approvare il Fiscal compact.
Così è avvenuto infatti nel nostro paese, quando a ridosso della chiusura estiva dei lavori parlamentari nel luglio 2012 il Fiscal compact è stato approvato con voto unanime delle due Camere dato dalle forze politiche che avevano aderito al governo Monti e il Presidente della Repubblica, dopo averne sollecitato la ratifica, l’ha controfirmato rendendolo a tutti gli effetti vincolante per il nostro paese. Che ora in vista delle prossime elezioni europee, alcune di queste forze politiche si facciano paladine dell’abolizione del Fiscal compact è pura ipocrisia.
Ecco perché è importante che i portavoce del M5S abbiano già presentato mozioni parlamentari denunciando pubblicamente i nomi di tutti coloro che hanno ratificato e firmato questo trattato. Ma la battaglia del M5S, assume un significato fondamentale anche per le prossime elezioni europee, perché come abbiamo visto l’articolo 16 del Fiscal compact prevede di inserire il suo contenuto all’interno dei trattati europei.
Una vittoria del M5S alle prossime elezioni europee servirà a impedire che ciò avvenga, difendendo la centralità del Parlamento Europeo come ora sta difendendo la centralità di quello italiano.” Paolo Becchi e Federico Actite