Noi che guardiamo la mafia negli occhi

dal discorso del deputato M5S Fabiana Dadone sulla nascita della Commissione Antimafia
“Le mafie rappresentano la più grande potenza economica di questo paese. Una forza che non potrebbe proliferare se non nell’indifferenza e, in alcuni casi, nell’appoggio esterno di politici, professionisti e amministratori. Un fenomeno che si sviluppa in maniera direttamente proporzionale alla mancanza di cultura. Eppure non si tratta di un fenomeno nato ieri. È del 1876 la prima definizione formulata dagli studiosi Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino che parlarono di “una associazione che non abbia forme stabili e organismi speciali…. [che rappresenta] lo sviluppo e il perfezionamento della prepotenza diretta ad ogni scopo di male“. Ed è dovuto passare oltre un secolo affinché nell’ordinamento giuridico italiano venisse inserito il reato di “associazione mafiosa“, norma che è costata la vita all’esponente del Partito Comunista Pio La Torre, creata per – cito testualmente – “riscattare l’indifferenza e l’agnosticismo che per troppo tempo vi era stato nel nostro ordinamento di fronte al fenomeno mafioso.” In mezzo una lunga serie di relazioni mortificanti prodotte proprio dalla commissioni antimafia, la cui prima istituzione è stata proposta il 14 settembre 1948, come dire che la commissione antimafia nasce con la stessa Repubblica Italiana. Da allora a ogni legislatura il Parlamento approva la costituzione di questa Commissione bicamerale con la speranza che si faccia chiarezza. E cosa ha prodotto fino a ora? Parole, parole, parole. Le ultime commissioni antimafia istituite da questo Parlamento hanno prodotto solo questo: parole. E hanno tradito la missione originaria di questo istituto: indagare un fenomeno di enormi proporzioni, dai contorni sfumati e mai troppo ben definiti e proporre soluzioni legislative. Dare risposte. Concrete, su temi ben definiti che riguardano tutta la popolazione italiana. Cosa succede nell’oscurità delle celle del 41 bis? Chi gestisce il flusso informativo che si genera dentro le carceri? Quanto l’autorità giudiziaria è messa a conoscenza di queste informazioni? Esiste nell’ambito del cosiddetto “carcere duro” un “circuito parallelo” a quello giudiziario che controlla e rischia di orientare le collaborazioni con la giustizia prima che vengano formalizzate? E ci risulta anche che le strategie “alte” delle associazioni criminali continuino a passare per i loro vecchi capi, seppur sepolti nel regime del 41 bis. E ancora, che fine fa l’enorme patrimonio generato dalle confische dei beni mafiosi? Che ruolo ha l’agenzia dei beni confiscati? E i patrimoni di mafia di seconda e terza generazione? Oppure, domani si terrà un evento mondiale in Italia, l’Expo di Milano del 2015. E’ possibile che l’enorme flusso di denaro finisca quasi per intero nelle tasche dei clan della ‘ndrangheta? E questo Parlamento cosa fa? Resta a guardare, incosciente o, addirittura, connivente? Si può pensare di intervenire in tempo utile per evitare questo scempio? Una volta tanto intervenire in diretta e non a danno già consumato. Ecco cosa vorremmo… che per una volta questa commissione fornisse risposte e soluzioni e non solo parole. Nonostante queste premesse, che riteniamo doveroso fare, con l’auspicio che l’impegno della commissione d’inchiesta sia quello di indagare veramente, senza superficialità, con profondità questo fenomeno, senza guardare alle diverse parti politiche, per fare luce e dare una risposta, votiamo a favore.” Fabiana Dadone, M5S Camera